Oggetti nella vetrina della stazione ‘scuola di scrittura cuneiforme’

A cura di Ludovico Priori

Tavoletta protocuneiforme; esemplificazione di tokens e bulla

Copia di tavoletta protocuneiforme in argilla - originale databile al periodo Uruk III (ca. 3200-3000 a.C., YBC 7056), provenienza sconosciuta, oggi parte della Yale Babylonian Collection (USA).

Copia esemplificativa di tokens, bulla e sigillo cilindrico, a partire da materiali di diversa origine e provenienza.

Con questa tavoletta siamo nel sud della Mesopotamia, verso la fine del quarto millennio a.C., al culmine del primo grande fenomeno di urbanizzazione nella storia dell’umanità.

L’area, già da millenni costellata da campi e canali di irrigazione, nonché da piccoli villaggi in mattoni crudi, aveva conosciuto nel tempo uno straordinario sviluppo agricolo e sociale, un susseguirsi di culture sempre più avanzate e la nascita di importanti edifici templari. Nel giro di pochi secoli nel corso del quarto millennio, alcuni insediamenti si erano ingranditi in maniera esponenziale, arrivando a poter ospitare migliaia di persone tra centinaia di piccole abitazioni in mattoni crudi; parallelamente si erano sviluppati anche complessi, ma necessari, apparati amministrativi, con sede nei principali santuari della comunità. Erano dunque nate le prime città, e tra queste Uruk era la più importante, per dimensioni e potere politico, tanto da condizionare lo sviluppo di gran parte della storia urbana del Vicino Oriente almeno fino alla fine del quarto millennio a.C.

È in questo contesto che la scrittura aveva mosso i suoi primi passi. Inizialmente, con lo sviluppo delle prime forme di economia si era diffuso anche l’utilizzo di una sorta di gettoni, oggi chiamati tokens; ciascuno di questi, attraverso forma e semplice motivo di linee sopra inciso, rappresentava la tipologia di bene materiale oggetto dello scambio, ed erano solitamente inseriti a mo’ di garanzia all’interno di una bulla, una sorta di sfera d’argilla con uno spazio vuoto all’interno. Sulla superficie di quest’ultima, poteva trovarsi il sigillo personale del “mercante”, realizzato inizialmente a stampo, poi più avanti nel tempo attraverso il rollaggio di una piccola forma cilindrica, spesso in pietra o altri materiali duri.

Con il passare dei secoli, e lo sviluppo delle prime grandi comunità cittadine, si resero necessarie misure più rapide per la regolazione dei beni sempre più numerosi che entravano e uscivano dai magazzini dei santuari. Si cominciò dunque a rappresentare direttamente sulla superficie della bulla ciò che prima veniva indicato dai tokens, il cui uso iniziò gradualmente a scomparire; questo processo portò di conseguenza anche alla trasformazione della “busta” in una più semplice “tavoletta”, e quindi una specializzazione dei segni indicanti la tipologia del prodotto. Naque così la cosiddetta “scrittura protocuneiforme”, dalla quale presero poi forma forma quei segni cuneiformi che avrebbero caratterizzato per millenni la storia del Vicino Oriente.

Pur non essendone tra gli esempi più antichi, i segni incisi su questa tavoletta appartengono ad una delle fasi più arcaiche di questo tipo di scrittura. Si tratta di un semplice conteggio, con le diverse componenti presentate in due registri sul verso, e il totale sul recto; i numeri sono realizzati pressando lo stilo con diverse angolazioni, mentre rappresentazioni schematiche comunicano l’oggetto dell’operazione, in questo caso capi di bestiame.

Cono di fondazione

Replica in argilla di cono di fondazione, con iscrizione dedicatoria in lingua sumerica.

Originale rinvenuto a Girsu (od. Tello), e riconducibile al regno di Gudea di Lagash (Lagash II, ca. 2200-2100); oggi custodito presso il Couvent Saint-Etienne di Gerusalemme (SE 59).

A dispetto della forma forse un poco ambigua, questi oggetti in argilla non avevano nulla a che vedere con le passioni terrene del singolo individuo.

Noti come “coni (o chiodi) di fondazione”, il loro destino era quello di essere incastrati all’interno delle pareti di un santuario al momento della sua costruzione. Il loro fine era puramente propiziatorio: sul dorso veniva incisa un’iscrizione dedicatoria in lingua sumerica, che nell’ottica mesopotamica era destinata ad essere letta esclusivamente dalla divinità cui il tempio era dedicato.

Diffusi come uno tra i tanti mezzi di espressione della devozione del sovrano nei confronti del dio, i chiodi di

fondazione conobbero il loro momento di gloria verso la fine del III millennio, in area sumerica (Mesopotamia meridionale). In particolare, l’originale di questa replica è uno fra i molti provenienti dalle rovine dell’antica Girsu, il centro religioso del regno di Lagash, e risale agli anni di Gudea, una delle figure regali più interessanti della storia mesopotamica. Fu a questo sovrano che si debbe la ricostruzione dell’E-Ninnu, il grande tempio dedicato a Nin-Girsu, dio dell’agricoltura e dei raccolti, nonché “patrono” della città di Girsu e destinatario della semplice iscrizione presente su questo oggetto, che così recita:

“Per Nin-Girsu, il grande campione di Enlil, Gudea, signore di Lagash, ha realizzato tutto ciò che è giusto; il suo E-Ninnu, luminoso uccello della tempesta, ha costruito e restaurato”

{d} nin-gir₂-su

ur-sag kal-la

{d} en-lil₂-la₂-ra

gu₃-de₂-a

ensi₂

lagaš {ki}-ke₄

nig₂-du₇-e pa mu-na-e₃

e₂-ninnu anzu₂{mušen}-babbar₂-ra-ni

10. ki-be₂ mu-na-gi₄

Tavoletta scolastica paleo-babilonese

Replica in argilla di tavoletta di epoca paleo-babilonese, con proverbio sul recto e calcolo matematico sul verso. Originale da Ur (Tell-Muqayyar), oggi parte delle collezioni del British Museum (UET 6/298).

Ci troviamo a Ur, nella seconda metà del II millennio a.C., in Mesopotamia meridionale. Una città di origini sumeriche dalla storia già millenaria, sede un tempo di grandi re e imperatori, e con i suoi splendidi templi e palazzi premio ambito dei tanti che avevano e avrebbero tentato di conquistarla. Oggetto di saccheggi e distruzioni attorno alla fine del millennio, la Ur del periodo Paleo-Babilonese (1900-1600 ca. a.C.) rimaneva nonostante tutto una delle grandi città del Vicino Oriente Antico, pur non essendo più l’imponente capitale di un tempo.

La gente parlava ora accadico, una lingua semitica, e non più sumerico, relegato ormai solo all’ambito scribale, come lingua sacra e letteraria. L’apprendimento di questa lingua era parte importante nell’educazione del giovane scriba, il quale, con l’ausilio di vocabolari e liste di segni, nonché di un severo e autorevole maestro, si accingeva all’apprendimento prima dei rudimenti di base, poi delle opere letterarie più complesse appartenenti alla tradizione sumerica. Il tutto ovviamente accompagnato anche da una corposa formazione matematica, essenziale tanto per le operazioni economiche, quanto per quelle magiche e astrologiche.

Con questa tavoletta a forma di lenticchia, rinvenuta in un piccolo edificio in uno dei sobborghi della città, entriamo direttamente nella vita quotidiana dell’apprendista; era infatti una sorta di piccolo “quaderno” di argilla, sul quale il giovane esercitava da un lato le sue competenze matematiche, dall’altro la sua memoria, attraverso la scrittura di un breve proverbio sumerico.

“Aggiungere una parte d’eredità (ad un’altra) parte d’eredità, è taboo di Utu”

ha-la ha-la-še₃ ga₂-ga₂

nig₂-gig {d}utu-kam